Fai così o muori
Da tempo mi interrogo sull’efficienza della pubblicità, non solo, ma soprattutto, del nostro Paese. I dati statistici, d’altronde, non sono molto confortanti. E non solamente in termini economici*, ma di affidabilità, credibilità, fiducia*.
La letteratura in merito (chiamarla letteratura, forse è esagerato) negli ultimi due/tre anni è esplosa. Manuali di ogni genere e sorta vengono pubblicati a ritmo serrato per spiegare, illustrare, insegnare come fare ogni cosa, dalle tecniche di copywriting, alla scrittura persuasiva, dalle tecniche di advertising, alle tecniche di marketing, dalle pubbliche relazioni digitali fino alle strategie e alle “rivoluzioni”. Libri, manuali, trattati, tutti evidentemente scritti “alla bisogna”, per cavalcare l’onda, come si dice; che, nel mondo digitale (soprattutto per quanto concerne i social) è effimera.
I titoli, poi, lascian perplessi per solennità, pomposità, novità. Mi è capitato, in una delle tante “sponsorizzate” in merito, di trovarmi di fronte a un manuale di “Copywriting Quantistico” che ben mi son guardato dal prendere in considerazione perché di Fisica ci capisco nulla. O forse son prevenuto e quel tomo è stato confezionato per aiutare tutti i fisici del mondo a vendere le teorie dei quanti o computer quantici via social. Boh, forse.
Poi però, mi è capitata di nuovo tra le mani una bella raccolta del 2016, edita da Franco Angeli e curata da Giuseppe Mazza, uno dei “grandi” della pubblicità italiana, dal titolo «Cose vere, scritte bene». Un libro di cui vi consiglio la lettura e di cui vi propongo un estratto. Siamo nel 1969, la DDB (Doyle Dane Bernbach) partecipa a un contest lanciato dal Time al fine di esporre la propria filosofia di advertising. Fin dal titolo, è tutto molto chiaro: «Do this Or die.». Il copy è Bob Levenson, la traduzione, che vi propongo qui sotto, di Pasquale Barbella.
*Dati Nielsen. La ricerca sulla fiducia della pubblicità è “ferma” al 2015.
DO THIS OR DIE.
Cos’è questo annuncio, un trucchetto?
No. Anche se poteva esserlo.
Qui casca a proposito, perché solleva una questione di vita o di morte per l’economia americana.
Insieme ai nostri clienti, noi che ci occupiamo di pubblicità abbiamo il potere e la capacità di prendere la gente per il culo. O almeno così pensiamo.
Sbagliato.
Non c’è una sola persona che possiamo sperare di fregare, nemmeno per un attimo.
In questo paese, è vero, c’è una mentalità da dodicenni piuttosto diffusa. Ogni cittadino di sei anni ne ha una. Siamo una nazione di persone intelligenti. E la maggior parte delle persone intelligenti se ne frega della maggior parte della pubblicità perché la maggior parte della pubblicità se ne frega delle persone intelligenti. Noi perdiamo tempo a menarcela tra di noi. Dibattiamo incessantemente di mezzo e messaggio. Bla bla.
In pubblicità, il messaggio non è altro che il messaggio. Una pagina vuota e un monitor vuoto sono esattamente quello che si vede. Al di là delle chiacchiere, i messaggi che piazziamo su quella pagina e su quello schermo devono dire la verità. Perché, se ci mettiamo a fare i trucchetti, moriremo.
E mo’, l’altra faccia della medaglia.
Dire la verità su un prodotto presuppone un prodotto su cui valga la pena di dire la verità. Purtroppo, tanti prodotti mancano di tale requisito. Tanti prodotti non fanno niente di meglio rispetto ad altri. O niente di diverso. Ce ne sono tanti che non sanno far bene neanche il loro mestiere. Altri che non durano. Altri ancora che non funzionano per niente.
Se ci mettiamo a fare i furbetti, moriamo anche noi. Perché la pubblicità aiuta i cattivi prodotti solo a fallire più in fretta. Nessun asino insegue per sempre una carota finta. Ci prova una volta. Poi basta. Questa è la lezione che dobbiamo imparare.
Se non lo facciamo, moriamo.
Se non cambiamo rotta, l’indifferenza del consumatore crescerà come un’onda di marea e travolgerà una volta per tutte la nostra montagna di cazzate.
E quel giorno moriremo.
Moriremo nel nostro mercato. Sui nostri scaffali. Nei nostri pacchi scintillanti di vuote promesse.
Uccisi senza far rumore. Senza un gemito.
Grazie all’abilità delle nostre stesse mani.
DOYLE DANE BERNBACH INC.